Un excursus tra aspetti di continuità e di peculiarità rispetto al bullismo tradizionale.
Scritto Da Dott.ssa M. Galimberti Dott.ssa Lisa Carrara
La violenza tra pari è un problema sociale che interessa un crescente numero di bambini e adolescenti a livello internazionale, con conseguenze significativamente negative per la salute fisica e psicologica di coloro che ne sono coinvolti. La scuola, come contesto primario insieme a quello familiare in cui si realizza il percorso educativo e di crescita dell’intera età evolutiva, è spesso lo scenario di relazioni tra pari da cui traggono origine e/o trovano una manifestazione concreta episodi di violenza.
Da diversi decenni il fenomeno del bullismo è oggetto costante di studi e di approfondimenti da parte della comunità scientifica, che lo ha riconosciuto come uno dei principali rischi associati all’età evolutiva (Olweus, 1996); per tale motivo, l’attenzione verso il bullismo si è estesa oltre l’ambito strettamente scientifico, interessando anche quello educativo, politico e mediatico. Il termine bullismo identifica qualsiasi forma di comportamento offensivo e/o aggressivo messo in atto da un singolo o da un gruppo (bullo), nei confronti di uno o più individui (vittima), al fine di ledere e di esercitare potere o controllo; il comportamento violento può essere di natura verbale, fisica, psicologica o relazionale (es. esclusione, isolamento…).
Il cyberbullismo come forma “contemporanea” del bullismo tradizionale
Negli ultimi anni si è assistito all’emergere di una nuova forma di violenza tra pari basata sull’uso delle nuove tecnologie di informazione e di comunicazione (smartphone, computer, internet, social network…), che costituiscono così il nuovo scenario in cui vengono agiti i comportamenti violenti. A distanza di solo un anno da quando Marc Prensky (2001) coniò l’espressione “nativi digitali” per riferirsi alle ultime generazioni come protagoniste di un’epoca dominata dalle nuove tecnologie, Bill Belsey (2002), educatore canadese, introdusse il termine “cyberbullismo” per indicare un nuovo fenomeno che stava iniziando a manifestarsi in modo sempre più evidente in tutto il mondo occidentale.
La rapidità dell’evoluzione tecnologica e la mancanza di una piena consapevolezza personale rispetto al proprio modo di entrare in relazione con gli altri attraverso i nuovi mezzi comunicativi hanno limitato la capacità di scindere correttamente i comportamenti ammissibili da quelli problematici e potenzialmente dannosi. Ecco che parallelamente ad un uso consapevole e intelligente dei nuovi mezzi comunicativi si è così sviluppato un loro uso distorto e improprio, che trova nel fenomeno del cyberbullismo la sua manifestazione più evidente.
Le numerose definizioni che negli ultimi anni si sono susseguite riconducono al cyberbullismo tutte quelle forme intenzionali di prepotenza e prevaricazione virtuale attuate mediante l’uso di internet e delle nuove tecnologie digitali.
La tassonomia del cyberbullismo proposta da Williard (2006), attualmente la più diffusa e impiegata in ambito di ricerca, classifica il fenomeno sulla base del tipo di azione e comportamento perpetrato. Come indicato dalle indagine empiriche, tra le pratiche di cyberbullismo più diffuse emergono il flamming, cioè l’invio di messaggi violenti e volgari; la denigrazione ossia l’insulto o la diffamazione online tramite menzogne, dicerie e pettegolezzi di tipo offensivo e crudele; il furto di identità, cioè l’acquisizione e l’uso delle informazioni personali e dei dati d’accesso dell’account della vittima per danneggiarne la reputazione.
L’eterogeneità del cyberbullismo è inoltre dovuta alle numerose tecnologie e modalità comunicative a cui può ricorrere l’aggressore (chat room, chiamate, messaggi, blog…); a tal proposito, i dati italiani relativi al progetto promosso dall’Unione Europea, DAPHNE II, suggeriscono che gli episodi di cyberbullismo attraverso le chiamate e i messaggi cellulari siano maggiori rispetto a quelli in cui sono impiegati altri strumenti. Il medesimo progetto fornisce anche dati preziosi sull’incidenza del fenomeno nel nostro Paese, sottolineando un significativo aumento negli ultimi anni. In particolare, i dati più recenti mostrano che, su un campione di 1960 ragazzi, il 25% ha dichiarato di aver subito episodi di cyberbullismo da due a più volte al mese (rispetto al 13% di indagini precedenti).
Il fenomeno del cyberbullismo è stato approfondito anche rispetto a due variabili principali, l’età e il genere sessuale. I dati empirici mostrano un aumento del fenomeno nel passaggio dalla scuola inferiore a quella superiore e un coinvolgimento generale più elevato da parte degli adolescenti, con un picco notevole intorno ai 13-15 anni. Non emergono invece differenze significative in riferimento al genere sessuale, a conferma che il cyberbullismo sia un problema che riguarda indistintamente maschi e femmine. Tuttavia alcuni studi, che si sono concentrati sul genere femminile, suggeriscono che, coì come già accade in riferimento al bullismo tradizionale, le femmine ricoprano più spesso il ruolo di vittima che quello di aggressore.
Gli aspetti distintivi del cyberbullismo e l’aggravarsi dell’impatto psicologico sulle vittime
Sebbene il cyberbullismo si sovrapponga in parte al bullismo tradizionale, rappresentandone una forma più moderna, è opportuno sottolinearne le differenze perché, come verrà specificato in seguito, le peculiarità del cyberbullismo influenzano i vissuti emotivi e le conseguenze psicologiche manifestate dalle vittime.
La specificità distintiva del cyberbullismo risiede innanzitutto nella modalità di trasmissione del messaggio aggressivo o denigratorio che, a differenza del bullismo tradizionale, non comporta un diretto contatto con la vittima; da ciò derivano poi quei due aspetti tipici del cyberbullismo, capaci di impattare sui vissuti di coloro che ne sono coinvolti (aggressore e vittima) e di rinforzare il fenomeno stesso.
Il primo aspetto fondamentale è il potenziale anonimato dell’aggressore: circa la metà delle vittime di cyberbullismo non conosce l’identità del suo aggressore che, agendo nell’anonimato, sottostima la portata negativa del suo comportamento. La mancanza di un feedback diretto sugli effetti delle proprie aggressioni favorisce il processo di decolpevolizzazione e aggrava il disimpegno morale e l’assenza di empatia, caratteristiche spesso già presenti in coloro che compiono episodi di violenza.
L’altro aspetto distintivo del cyberbullismo è l’assenza di confini spazio-tempo: le aggressioni cybernetiche possono raggiungere la vittima ovunque e in qualsiasi momento della giornata. Non solo, nei casi in cui la violenza si realizza attraverso la messa in rete di materiali offensivi e denigratori (video, foto…), è difficile che lo stesso materiale venga rimosso e può raggiungere un pubblico illimitato. Tutto ciò aggrava ulteriormente il potenziale lesivo degli attacchi cybernetici, che risultano avere un impatto più dannoso rispetto agli episodi di bullismo tradizionale sui vissuti emotivi e psicologici della vittima.
Già a partire dai primi studi sistematici condotti da Olweus (1970) sul fenomeno del bullismo tradizionale, numerosi risultati empirici hanno evidenziato che l’essere vittime (ma anche aggressori) di episodi di violenza rappresenti un importante fattore di rischio per lo sviluppo di successive manifestazioni psicopatologiche. La letteratura scientifica più recente fornisce risultati analoghi anche rispetto al fenomeno del cyberbullismo, dimostrando che nel complesso entrambe le forme di violenza abbiano un impatto significativamente negativo sulla vittima.
Sebbene l’impatto possa variare in funzione della gravità e della frequenza degli episodi di violenza, le conseguenze comportamentali più comunemente osservate nelle vittime di bullismo e cyberbullismo sono un maggior assenteismo scolastico e ridotte prestazioni accademiche; rispetto invece alle conseguenze di natura emotivo-psicologica, spesso le vittime presentano profondi sentimenti di solitudine, tristezza e frustrazione, alti livelli di ansia sociale, sintomi depressivi e bassi livelli di autostima e di soddisfazione personale.
È tuttavia necessario sottolineare che le caratteristiche distintive del cyberbullismo, ossia l’assenza di confini spazio-temporali, l’anonimato dell’aggressore e un pubblico potenzialmente illimitato, contribuiscono ad aggravare ulteriormente il fenomeno e il suo impatto sulla vittima. In particolare, la consapevolezza di non poter prevedere dove e quando si sarà colpiti dagli attacchi cybernetici, provoca un maggior senso di insicurezza nelle vittime, con una conseguente generalizzazione dell’ansia anticipatoria, dello stress e dei sintomi depressivi a tutti i contesti e momenti della propria vita quotidiana. L’anonimato dell’aggressore e la sensazione di essere oggetto di scherno e derisione da parte di un numero esteso di spettatori causano invece più profondi sentimenti di solitudine, e diffidenza, con scarsa apertura e fiducia verso gli altri che costituiscono un ulteriore ostacolo alla disponibilità di chiedere aiuto da parte delle vittime stesse.
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Bibliografia:
Olweus D. (1996), Bullying at school: knowledge and an effective intervention program. The New York Academy of Sciences.
Cènat J.M., Hèbert M., Blais M., Lavoie F., Guerrier M. e Derivois D. (2015), Cyberbulling, psychological distress and self-esteem among youth in Quebec Schools. Journal of Affective Disorders, 169: 7-9.
Chiapasco E. e Cario M. (2013), Cyberbullismo: dalle prime definizioni ai dati più recenti. Psychomedia-Salute mentale e Comunicazione.
Estèvez E., Estèvez J.F., Segura L. e Suàrez C. (2019), The influence of bullyng and cyberbulling in the psychological adjustment of victims and aggressors in adolescence. International Journal of Environmental Research and Public Health, 16, 2080.
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