Il narcisismo è un grave disturbo di personalità, in Italia è ancora troppo sottovalutato eppure gli effetti sulle altre persone possono essere davvero devastanti. Curare chi ne soffre è possibile? Forse la domanda primaria dovrebbe essere: ma chi ne soffre se ne rende conto? E se si, vuole essere aiutato?
In realtà dietro l’etichetta di questo disturbo sono concentrate le tematiche e le dinamiche del riconoscimento e dell’essere stati visti. In genere esplorando la storia di vita di queste persone, troviamo quasi sempre una mancanza di rispecchiamento da parte dell’Altro, in genere una figura primaria delle cure ( genitore), che di fatto congela la crescita dell’individuo e lo/la fa concentrare solo su se stesso. “Mi sono fatto da solo”, “Nessuno mi ha mai aiutato”, “Da piccolo ero già grande”, sono alcune delle frasi che ascoltiamo in terapia dai narcisisti. Si è vero, a volte si ha l’impressione di rivolgersi a dei bambini, ma non perché siano stupidi, tutt’altro.
Ma non tutti sono terapeuti e non sempre le persone che incontrano un narcisista hanno gli strumenti e la competenza per non subire il loro fascino alla fine autoreferente. È purtroppo il caso molto frequente di una relazione amorosa che si conclude spesso con una disfatta del partner più debole, che si accorge (dopo) di non essere mai stato amato/a come credeva.
Fa riflettere ascoltare la facilità con cui il narcisista “scarica” il proprio partner. A volte si ha l’impressione di avere a che fare con un cinico che con una competenza quasi chirurgica riesce a recidere in modo mirato e attento l’equilibrio psicologico della povera vittima prescelta. Ma perché non ci si accorge? Come mai ne veniamo rapiti?
Per dare una risposta a queste domande si deve riflettere sulla storia di Narciso e sul suo mito che ancora oggi sopravvive e che in veste moderna ci ricorda come la tematica dell’essere riflesso, visto, non tanto dal nostro specchio e quindi da noi stessi, ma dagli altri, sia centrale nella nascita e nello sviluppo di questa patologia. Potremmo inoltre aggiungere quanto tutto ciò sia apparentemente mascherato proprio dal paradosso di vivere accanto ad una realtà virtuale che illude ma non risolve la questione. Ci riferiamo al mondo dei social che, senza nulla togliere alle tante opportunità che offre, a volte promuove ed amplifica dinamiche narcisistiche e non relazionali.
Sono allora due i fronti della cura per il narcisismo. Il primo riguarda le vittime, donne o uomini che siano. In particolare riguarda la relazione d’amore finita male ed interrotta con una rottura traumatica. Qui i percorsi terapeutici si concentrano in una prima fase di supporto da parte del terapeuta per lenire le ferite dell’abbandono, per passare quindi alla graduale presa di coscienza degli aspetti disfunzionali che la persona ha messo in atto con il narcisista, per poi esplorare laddove possibile, il significato più profondo che elaborato in modo mirato, porterà ad un miglioramento di alcuni aspetti della sua personalità.
Il secondo fronte è rivolto al narcisista, che quando richiede aiuto si trova in genere in un momento di crisi, dove gli eventi di vita gli mettono davanti la sua realtà più profonda, dove intuisce vi possano essere dei vuoti, ma non sa come uscirne. Egli si sente come un bambino abbandonato, lasciato solo nelle sue solitudini interiori.
Quello che bisogna fare, e terapeuticamente risulta efficace, è proprio prendere per mano quel bambino, accoglierlo, ri-conoscerlo, fargli gradualmente capire a sua volta che per essere visto, deve anche vedere, riconoscere l’altro, a partire dal proprio terapeuta. Il narcisismo che lo abita allora percepisce e fa propria una relazione autentica, che è fatta sia di aspetti di valorizzazione del soggetto, ma anche di osservazioni e critiche che inducono piano piano ad abbandonare questa modalità relazionale autocentrata verso una più genuina e vera dinamica del riconoscimento reciproco.
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