La Dipendenza Affettiva Patologica.
articolo scritto dalla Dott.ssa M. Galimberti e dalla Dott.ssa L. Carrara
Il termine dipendenza non ha in sé un’accezione necessariamente negativa: bisogni umani universalmente riconosciuti come fondamentali, quali quello di approvazione, stima, conferma, ammirazione e protezione, necessitano della dimensione relazionale per la loro soddisfazione, rendendoci in parte dipendenti dall’altro (Bowlby, 1969; Guerreschi, 2011).
La dipendenza affettiva, intesa quindi come fenomeno etimologicamente adattivo, può tuttavia qualificarsi come patologica nel momento in cui assume caratteristiche di pervasività e intensità tali da compromettere il funzionamento generale dell’individuo.
Cristina, giovane donna di 34 anni, porta in terapia la difficoltà per una vita che “le sta sfuggendo di mano”: da qualche mese ha perso il lavoro, gran parte delle amicizie coltivate nel tempo sembrano essersi interrotte per cause altrui, i rapporti con la famiglia d’origine sono praticamente inesistenti. Unica costante degli ultimi anni è una relazione sentimentale con un uomo maltrattante e dipendente da sostanze, che l’ha tradita diverse volte e che lei ha perdonato periodicamente; dice di non saper rinunciare a tale rapporto, nonostante la “assorba” completamente e sia fonte di sofferenza quotidiana.
È proprio dall’ambito clinico che nasce l’attenzione al tema delle dipendenze affettive, dove un crescente numero di pazienti non riesce a interrompere relazioni intime profondamente distruttive, che generano sofferenza (sintomi clinici di varia natura) e compromettono la loro vita a vari livelli. Nonostante l’interesse e i notevoli sviluppi ottenuti recentemente sul tema, non si è ancora giunti ad una definizione univoca del costrutto di Dipendenza Affettiva Patologica (PAD), condizione a cui spesso si fa riferimento con differenti denominazioni (love addiction, co-dipendenza, dipendenza relazionale…) e che non trova ancora una sua identità nosografica all’interno dei sistemi ufficiali di classificazione.
Ciò che tuttavia appare evidente da un’analisi della letteratura scientifica e da quanto emerge dall’ambito clinico-terapeutico, è che la PAD sia una problematica diffusa, riconducibile prevalentemente a relazioni d’amore (ma anche d’amicizia e genitoriale), con conseguenze importanti sul benessere della persona, motivo per cui numerosi studi mirano a comprenderne i fattori etiologici, i sintomi, le determinanti cognitive e comportamentali al fine di individuare un protocollo di trattamento quanto più efficace.
La PAD, inoltre, è riconosciuta come un fattore trans-diagnostico, cioè una disfunzione della relazione potenzialmente rintracciabile in diverse personalità, non necessariamente patologiche; è quindi una condizione multidimensionale e trasversale, che non corrisponde al Disturbo di Personalità Dipendente (DDP) poiché esiste un’ampia gamma di soggetti non affetti da alcuna patologia e/o che non soddisfano i criteri diagnostici per il DDP che sviluppano relazioni patologiche caratterizzate da dipendenza e malessere psicologico, sociale e lavorativo.
Essere affettivamente dipendente: un passato che ritorna in una sofferenza attuale.
Storicamente introdotto negli anni 50’ (dapprima con il termine co-dipendenza) in riferimento a compagni e/o familiari di dipendenti da alcol pronti a sacrificare la propria vita per prendersi cura dell’altro, il costrutto di Dipendenza Affettiva Patologica (PAD) indica un fenomeno relazionale nel quale un individuo sembra avere un legame apparentemente irrinunciabile con un partner problematico ed è disposto a rinunciare al soddisfacimento dei propri bisogni, con importanti conseguenze sul proprio benessere, pur di mantenere tale rapporto.
La condizione di dipendenza affettiva sembra essere riconducibile a modelli relazionali e a vissuti interni di riscatto inerenti esperienze traumatiche di privazione emotiva, trascuratezza, abbandono o abusi vissuti a partire dall’infanzia. Amare e salvare qualcuno emotivamente fragile, violento e maltrattante (sul piano psicologico, emotivo, fisico, sessuale e/o economico), simile al proprio genitore problematico o ricercare disperatamente l’amore di un partner affettivamente irraggiungibile per identificazione con una madre/padre non amati, da cui trae origine il sentimento di inadeguatezza e di non essere degno d’amore, costituiscono la “sfida” del dipendente affettivo, che lo portano a instaurare relazioni inevitabilmente disfunzionali.
Per avere la sensazione di essere necessario e indispensabile all’altro, come garanzia della sua vicinanza e del suo amore, il dipendente affettivo mette in atto comportamenti di estrema sacrificalità, disponibilità e accudimento, assumendo il ruolo di abile aiutante e/o salvifico verso il partner problematico a cui perdona tutto. Nel corso del tempo, tuttavia, risultano sempre più evidenti i costi conseguenti a questo tipo di rapporto, che compromette non solo la salute psicofisica del dipendente affettivo, ma anche le sue principali aree di vita (sociale, lavorativa, familiare). A fronte di queste difficoltà, tende a percepirsi nel ruolo di vittima, iniziando così a esplicitare sempre più frequentemente i suoi bisogni e le sue sofferenze ad un partner che, tuttavia, proprio per le sue caratteristiche, non è disposto ad attuare nessun reale cambiamento all’interno di quel rapporto fino a quel momento esclusivamente vantaggioso per lui.
Compare quindi quel conflitto intrapsichico che caratterizza la condizione di Dipendenza Affettiva Patologica: c’è la consapevolezza del malessere generato da quella relazione, con l’intenzione di interromperla, ma al contempo lo stress emotivo e l’angoscia associati alla perdita risultano intollerabili, tanto da rendere impossibile la separazione. La soluzione al conflitto è dunque rimanere nella relazione (o eventualmente ricercarne una simile) con l’illusione di un eventuale cambiamento: la fantasia che “questa volta sarà diverso” congela il rapporto e blocca il dipendente affettivo in una relazione tossica che compromette il suo funzionamento in modo globale.
“Non riesco a lavorare, non ho energie, sono stressato, devo sempre occuparmi di lui/lei” sono le frasi che tipicamente riportano in seduta i dipendenti affettivi, come espressioni del malessere psico-emotivo causato dalla relazione e del suo impatto negativo sulla loro quotidianità e qualità di vita; numerosi sono d’altra parte i sintomi clinici, di natura prettamente ansioso e depressiva (attacchi di ansia o panico, insonnia, umore deflesso, pensieri ossessivi verso il partner…), associati alla separazione e alla perdita, vissute appunto come intollerabili.
Nei casi più estremi, si possono verificare veri e propri episodi di violenza fisica, con rischio di vita. La rabbia, verso se stessi come incapaci di porre fine a quel rapporto e verso il partner per i danni subiti, può divenire così intensada scaturire in gesti autolesionistici e tentativi di suicidio o da innescare situazioni di conflitto e tensione tali da elicitare atti di violenza fisica, fino ai casi di omicidio.
PAD e Trattamento psicoterapeutico
L’intervento psicoteraputico rivolto alla Dipendenza Affettiva Patologica deve innanzitutto riconoscerne la complessità, come condizione che interessa l’individuo su più livelli (psico-fisico, sociale, lavorativo…) e che trova manifestazione nella sua quotidianità ma che in realtà origina da esperienze e vissuti remoti. Il percorso si struttura quindi nel raggiungimento di obiettivi a breve e a lungo termine.
La risoluzione della sofferenza attuale, espressa tramite i sintomi psicofisici e i comportamenti disfunzionali, è il primo obiettivo dell’intervento: aiutare l’individuo nel gestire l’ossessione per la relazione e le conseguenze emotive e comportamentali associate alla possibilità di separazione/perdita mira a limitare la compromissione delle sue principali aree di vita, ristabilendo un equilibrio personale quanto più globale.
Il percorso psicoterapeutico si sposta poi sul senso di essere non degni di amore e di scarso valore personale, come vissuti interni che generano e mantengono la condizione di Dipendenza Affettiva. L’intervento è finalizzato alla comprensione delle origini della sofferenza, attraverso l’esplorazione della storia familiare ed individuale del paziente per incrementarne la consapevolezza circa le esperienze e gli eventi del passato che attivano nel presente meccanismi e vissuti disfunzionali. Fine ultimo della terapia è il raggiungimento di un’autonomia emotiva, basata sulla conoscenza di sé e del proprio valore personale indipendentemente dall’essere o meno all’interno di una relazione; sarà allora possibile l’instaurarsi di nuove relazioni intime basate su un reale coinvolgimento affettivo reciproco, in cui viene mantenuto il senso di amabilità e valore personale.
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Bibliografia essenziale sulla dipendenza affettiva patologica
Dimaggio G., Montano A., Popolo R. e Salvatore G. (2013), Terapia metacognitiva interpersonale. Raffaello Cortina Editore.
Pugliese E., Saliani A.M e Mancini F. (2019), A cognitive Model of Pathological Affective Dependence. www.apc.it
Earp B.D., Wudaryazyk O.A. e Foddy B. (2017), Addicted to love: what is love addiction and when should it be treated?. Philosophy, Psychiatry & Psychology, 24(1), 77-92.
Petrucelli F. et. Al. (2014), Affective dependence and aggression: an exploratory study. Biomed Research International.